Che il capitalismo fosse fallito questo l’avevamo capito già nel post crisi del 2008, quando ci sono stati sbattuti in faccia i processi di sperequazione generati dall’economia di mercato, che hanno prodotto cittadini di serie a e di serie b; in seguito è toccato al crollo del ponte Morandi ricordarci l’importanza dei beni pubblici e della loro gestione, riducendo in poltiglia il sistema di privatizzazioni e concessioni sfrenate avviate negli anni ’90.
L’emergenza Covid ci ha poi mostrato il volto delle disuguaglianze ma anche, e soprattutto , di quanto il nostro Paese necessiti di servizi pubblici essenziali funzionanti e statali, visto che sono stati il perno della risoluzione dell’emergenza.
Ogni crisi comporta rischi ed opportunità. Il cambiamento spesso nella storia è stato prodotto proprio dalle crisi più complesse. Il 2020 è caratterizzato dalla crisi planetaria prodotta da un virus. Non è la prima volta che accade, basti pensare agli effetti che nei secoli passati ebbero ad esempio le epidemie di peste.
I cambiamenti climatici rappresentano una vera minaccia, per la vita sulla Terra. Secondo gli ultimi report, dell’IPCC, restano meno di 8 anni, per contenere gli effetti della crisi; superata questa soglia, difficilmente riusciremo a gestire, in modo ottimale, la situazione.
Il contesto dello sconvolgimento economico sociale globale a cui stiamo assistendo e che presumibilmente durerà fino a quando non sarà reso disponibile il nuovo vaccino, vedrà un graduale ritorno all’espletamento delle attività (alcune dovranno verosimilmente mutare la propria proposta) e parziali libertà di movimento, determinando una condizione di persistente “caos”, dovuta anche ai possibili ritorni di fiammate che manterranno vivo il problema dei contagi e del rischio di morte dei contagiati.